martedì 20 aprile 2010

ELOGIO DELLA PIPPA di Sandro Onofri

Un lettore ci ha fatto pervenire questo breve scritto, lo ritengo molto simpatico ed aderente alla realtà da me vissuta quindi lo voglio condividere con gli altri appassionati nella speranza di portare un pò di buonumore in chi ha la pazienza di leggerlo.

(Da: Il pomeriggio dell’atleta stanco,Theoria,)

Quando gli va bene li chiamano incapaci, o impediti, ma solitamente sono pippe, schiappe, seghe. Ce ne sono in ogni squadra, da quella degli «scapoli» o degli «ammogliati» fino almeno ai semiprofessionisti. Almeno, ma spesso anche oltre, e anche molto oltre. Sono la categoria di calciatori più tartassata eppure la più fedele, sempre i primi ad arrivare al campo, i più solerti a organizzare sfide, formidabili nel cucire rapporti all’interno della propria squadra. I fuoriclasse veri li capiscono e li proteggono, i mediocri li insultano. I mediocri cominciano a lamentarsi delle loro infauste giocate già dopo cinque minuti dall’inizio di una partita, i fuoriclasse invece giocano anche per loro, gli passano palloni d’oro che nove volte su dieci finiscono fuori, o sui piedi dell’avversario. Le schiappe sono gli dèi dello spreco, ma solo i mediocri, ripeto, gli vogliono male.

Le pippe sono eroiche, non rinunciano mai al numero di classe, che sanno impossibile per le loro capacità e che tuttavia inseguono magari per tutta la vita. Perché a modo loro le seghe sono mosse da un aristocratico disprezzo della mediocrità. E sanno rischiare. Una volta un amico mio si intestardì nell’imparare una giocata estremamente difficile per chiunque. Si trattava di un pallonetto in rovesciata (…). Era chiedere troppo ai suoi piedi così grezzi e approssimativi, tuttavia lui non si arrendeva. Provò per settimane in allenamento, non riuscendoci mai, anche se sosteneva di fare ogni volta dei progressi. Quando finalmente gli capitò l’occasione di provare il suo numero in partita (…), al momento della rovesciata si dette una pallonata in pieno volto, e restò stordito in terra. Quando l’arbitro mandò i tre fischi, lo dovemmo portare a braccia fuori dal campo. (…)
Ma quanti altri esempi potrei ancora portare? Sono ingovernabili. Se li fai giocare avanti, stanno sempre sulle traiettorie dei tiri dei compagni, se li metti dietro magari lisciano e liberano un avversario da solo davanti al portiere oppure, peggio, presi dalla foga, sparano nella loro porta il più imprendibile degli autogol. E così di solito li si lascia liberi di giocare dove vogliono, senza una posizione precisa, esattamente come si fa con i geni.
Eppure, non c’è schiappa o sega che dir si voglia che non sia stata almeno una volta in vita sua protagonista di una prodezza: un tiro preciso proprio sotto l’incrocio (e nella porta giusta, stavolta), una finta che lascia secco l’avversario, una bombarda sparata dal limite che passa in mezzo a decine di gambe e si infila nell’unico angolino disponibile. Non esiste nessuno che può dire di non avere mai vinto almeno una partita grazie al goal di una pippa. Accade all’improvviso, e sono le vittorie più belle. Provocano gioie incredule. E’ in quei momenti, dopo una prodezza, che si riconosce la schiappa vera: se insiste nel sostenere di avere calcolato tutto, allora no, non è pippa, è semplicemente un mediocre. Ma se ride con gli altri, se con gli altri condivide la meraviglia e la sorpresa, allora sì, è senza dubbio sega. Perché questa categoria di calciatori sa, come i fuoriclasse autentici, di avere voluto certamente quel colpo di genio, di averlo inseguito da sempre. Ma sa anche che nel momento in cui è arrivato, il merito non è stato suo, ma di qualcos’altro più forte e incontrollabile, che agisce insieme da dentro e da fuori di noi, un miracolo ogni volta irripetibile. Le schiappe, come i fuori-classe, lo sanno questo, e infatti si capiscono.

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